Biasuzzu, il fotografo dell’aspromonte Mimmo Gangemi - Scrittore

Editoriali

Era Biasuzzo opoloer tutti. Per sessant’anni – dal 1925 fino agli anni ’80 – fu lui il fotografo nei paesini abbarbicati sui dorsi delle colline alle prime pendici dell’Aspromonte. Ha il merito d’aver saputo trattenere la memoria di più generazioni, tracciando lo scorrere del tempo, i lenti mutamenti, le esistenze degli umili appena sfiorati dalla storia, o che la subivano soltanto, imprigionando i rari sussulti di vite trascinate anonime e tra gli stenti, e i frustali di una quotidianità di cui altrimenti si sarebbe smarrito il ricordo. Impronte importanti. Che si sono conservate per la caparbietà della madre, lei a decidere che a quel suo giovane, venuto su fervido di mente, di bella presenza e dai tratti raffinati, s’addicesse un mestiere che gli preservasse gentili le mani e non piuttosto la zappa e la campagna cui allora non scampavano i figli del popolo.

Un album pieno di emozioni e sentimenti Francesco Paolo Dodaro - Storico

Editoriali

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Al pari della pittura e della scultura, anche la fotografia viene considerata una vera e propria forma d’arte, capace di suscitare profonde suggestioni. Osservare fotografie antiche è come fare capolino nelle atmosfere di un mondo passato e consente di percepire, attraverso uno sguardo o un sorriso, pensieri ed emozioni di chi ci ha preceduto. Ricordo molto bene il fascino che su di me esercitavano i voluminosi album fotografici di famiglia, che stavano nel salotto di mia zia paterna, su di un mobile, accanto al pianoforte a muro. Un giorno decisi di aprirli e di sfogliarli, e quella fu per me un’esperienza molto utile, perché mi permise di riappropriarmi di tanti tasselli di storia familiare. Fra le pagine ricche di foto (delle quali le più antiche erano dipinte a mano) mi imbattei per la prima volta nel ritratto di Mons.

Dal dagherrotipo alla gelatina di bromuro d’argento Ottavio Cavalcanti - Antropologo

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[…] Tra vapori di iodio, per impressionare un sottile strato d’argento applicato su lastra di rame, e vapori di mercurio, per fare emergere l’immagine magicamente catturata e irriproducibile, vien fatto di inquadrare la figura di Louis-Jacques-Mande Daguerre (1787-1851) in un antro alchemico, che non la sfuma, ma l’ingigantisce per l’esito felice di una ricerca destinata a smentire l’impossibilità di mutare metalli vili in oro. Seguì, in prospettiva storica, “l’età del Collodio”, la seconda epoca della fotografia iniziata a metà del sec. XIX e protrattasi fino al 1880, in cui una lastra di vetro ricoperta di Collodio, soluzione di nitrocellulosa in una miscela di alcool e etere, si immergeva in un’altra soluzione di nitrato d’argento.

L’immagine è cammino tra i luoghi del ricordare Pierfranco Bruni - Scrittore

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Il mondo contadino non è soltanto una dimensione di un mondo perduto che rivive l’immaginario e nell’immaginario. È anche un linguaggio, una etnia nel vissuto tra letteratura e riscoperta della dimensione della memoria in una Calabria le cui radici sono impastate tra la terra e il mare. Dall’indifferenza alla nostalgia. Tra i segni e le memorie il tracciato è un lungo ricordo in una antropologia che è letteratura di una geografia dell’essere e del tempo. Etnos-popolo. Tra etnie e luoghi. Ci sono processi culturali, attraversando le immagini nella fotografia o la fotografia fissa nell’immagine, che si prestano ad una chiave di lettura in cui il valore antropologico e la “misura” etno-linguistica offrono delle interpretazioni che hanno delle caratteristiche che penetrano il senso mitico simbolico delle civiltà. Il mito e il simbolo sono dominanti di un percorso certamente etnico che scava all’interno di quelle dimensioni che si prestano ad un riscontro letterario.

Quei Fotografi che hanno fatto la storia di Cosenza Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona - Storico

Editoriali

Santoro, De Maria, Spina, De Luca, Gaudio, questi i nomi che hanno dato vita ai primi studi fotografici professionali dai quali sono passati, come una grande parata, i nostri predecessori. Insieme a loro, si sono poi affermati anche fotogra amatoriali, tra questi, Ferdinando Vercillo (segnalato nel 1856 come ritrattista) e Filippo Telesio, dalle cui fotografie emergono l’intenzione iconografica dei soggetti ritratti e quella tipicamente documentaristica: immagini che testimoniano l’ambiente, le prassi di vita quotidiana, le varie caratteristiche antropologiche delle comunità identificate nei costumi e nella lingua. Con talento e originalità ci hanno tramandato momenti espressivi e profili urbani documentando la storia culturale della città.

La Calabria com’era. Fotografia e fotografi tra ’800 e ’900 Antonio Panzarella - Docente Accademia di Belle Arti Roma

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[…] La mostra La Calabria com’era, fotografia e fotografi tra ’800 e ’900, ci porterà per mano a conoscere la storia della Regione attraverso materiale inedito e raro, come eravamo noi, i nostri padri, i nostri paesi. Si vuole mostrare una Calabria com’era, raccontata come luogo di riflessione e di studio, ma anche come luogo in perenne trasformazione, per sguardi e percezioni che continuano. Nel suo insieme sarà uno sguardo sincero, forse parziale ma obiettivo, che non rinuncia tuttavia al rigore scientifico e alla ricerca di una possibile verità per immagini ma recupera anche la natura del “reportage” fotografico, in particolare per quella tradizione narrativa e speculativa, che è patrimonio acquisito della storia della fotografia. Davanti ai nostri occhi una Calabria vista da fotogra indigeni ed esterni alla Regione, che hanno fermato sulle loro lastre e negativi su pellicola aspetti decisivi della vita sociale, economica e culturale.

Come sarebbe il mondo (e il giornalismo) senza la fotografia? Giuseppe Soluri - Presidente Ordine dei Giornalisti della Calabria

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Come sarebbe il mondo, specie quello del giornalismo, senza la fotografia? Sarebbe sicuramente più povero. Noi saremmo più poveri, privati di quegli sguardi, quei volti, quei luoghi che, proprio attraverso l’immagine, si raccontano e ci raccontano il nostro vivere quotidiano.È “grazie al lavoro dei fotografi”, ha scritto il collega Mario Calabresi, “al loro coraggio di contaminarsi e alla capacità di cogliere l’attimo della Storia, se ancora oggi, mezzo secolo dopo, ci commuove la lacrima di Jacqueline Kennedy al funerale di suo marito John.” “Il giornalista, e lo stesso vale per un fotografo” – è sempre Calabresi a scriverlo – “ha il dovere di vivere in mezzo alle formiche, di vedere il mondo dal loro punto di vista.”

La Memoria Storica della Nostra Identità nella Sede della Regione Mario Oliverio - Presidente Regione Calabria

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Con la mostra La Calabria com’era dedicata alla fotogra a e ai fotogra tra l’800 e il ‘900 inizia un percorso di valorizzazione del nostro patrimonio culturale di cui la sede della Regione sarà l’epicentro. La Cittadella regionale è “la casa dei calabresi” e non si può pensare che questa “casa” sia priva di testimonianze della cultura di chi ci vive e lavora progettando il futuro. La di coltà del presente può fa perdere a volte la memoria dell’importante ruolo che questa terra ha avuto in passato, quando nel corso della storia è stata culla di progresso economico, tecnico e scientifico, di arte e civiltà. La Calabria ha avuto, ha oggi ed avrà, in ogni campo dello scibile, menti illuminate in grado di o rire al pensiero umano nuove visioni da esplorare. Perciò è importante che questa prestigiosa sede abbia uno spazio dedicato alla cultura, aperto a incontri, mostre, concerti, spettacoli, dove artisti, scienziati e persone di cultura possano trovarsi, confrontarsi, crescere.