Un Viaggio alla Ricerca del Tempo Perduto Anna Rosa Macrì - Giornalista

Editoriali

[…] Più o meno fino alla fine dell’Ottocento, anche per la fotografia, eravamo tributari di Napoli, arrivavano fin là, per studio o per affari, gli esponenti delle famiglie-bene calabresi, e fissavano in una immagine la fuga del tempo. E questo privilegio, che fa della tecnica fotografica una magia, era concesso solo a loro. Degli altri, dei poveri, quelli che nascevano e morivano nello spazio breve del loro percorso quotidiano di contadini, nessuna traccia nelle immagini, nessuna immagine è rimasta, di come si atteggiavano, di come vivevano, di come erano. Solo ne è rimasto un racconto “mediato”, fatto dai “colti”, indiretto. Finalmente, sul morire del secolo, arrivarono in Calabria le prime macchine fotografiche, e i primi gabinetti fotografici, a Reggio e Cosenza, dicono le storie di fotografie. Successe anzi, e fu merito degli scambi di oggetti e cultura, tra chi emigrava in America dalla Calabria e chi restava, che proprio nella nostra regione si trovassero apparecchi fotografici all’avanguardia, per i tempi, che neanche i gabinetti “napoletani” possedevano. E adesso alcuni interessanti archivi fotografici cominciano a venire alla luce.

La Fotografia Trasmette i Tratti delle Esperienze Vitali Luigi Maria Lombardi Satriani - Docente Università Suor Orsola Benincasa Napoli

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Sfogliando queste antiche fotografie, scattate da mio padre Alfonso, mi lascio inondare dalla sensazione della memoria di un passato che esse testimoniano, come nell’incanto delle madeleines di proustiana memoria. Mi domando perché trasmettono con forza la storia di momenti, eventi, persone, atmosfere, luoghi e i discorsi che le hanno incessantemente attraversate. Giuseppe Lupo, nel suo recente L’albero delle stanze, che ci accingiamo a celebrare con il Premio Filadelfia 2016, ci ha narrato come l’ultimo proprietario di un secolare mulino, il suo avo, capostipite della famiglia, aveva aggiunto stanze a stanze, appartamenti ad appartamenti, via via che si formavano nuove coppie, nascevano bambini e la famiglia si ampliava, ramificandosi in ulteriori formazioni e stanze. Il protagonista del libro di Lupo è vecchio, e passa le ore toccando i muri di questo loquace albero di stanze, mettendosi in ascolto di quanto esse raccontino in maniera sfuggente e sofferta.

Il Nostro Villaggio della Memoria Paride Leporace - Giornalista e direttore Lucana Film Commission

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Al tempo del selfie. Ovvero nell’epoca dello scatto compulsivo. Mai prodotte tante fotografie come al tempo del digitale odierno. Una bulimia incontrollata rischia di farci perdere il rapporto con l’immagine nata con il dagherrotipo e proseguita con la macchina oscura. Scatto. Posa, inquadratura. Sviluppo. Stampa. Attesa, Consegna. L’immagine, la foto, finiva in un album. In una cornice. In delle scatole di latta. Partiva per un lungo viaggio chiusa in una busta verso parenti lontani. La ricerca del tempo perduto e qualità proustiana da maneggiare con cura per evitare la nostalgia canaglia del passato migliore a priori del presente. Ma il sapore della madaleine (o, considerata la geografia, della varchiglia) lo assoporo nel guardare il repertorio di foto proposto dalla mostra allestita dall’instancabile Antonio Panzarella. Osservando le foto, frutto di lavoro artigiano, quello che ci fece ridere guardando la commedia di Scarpetta Miseria e nobiltà, ci s’immerge nella storia delle Calabrie e dei suoi abitanti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio di quel secolo breve che muta e trasformerà anche le nostre aspre e belluine terre.

Fotografi a Reggio tra Fine Ottocento e Inizi Novecento Enzo Laganà - Giornalista

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Nell’anno dell’Unità d’Italia, Vincenzo Sergi apriva in piazza San Filippo (l’odierna piazza Carmine), sotto l’insegna “Foto Fata Morgana”, un laboratorio con una serie di apparecchiature e lastre argentate con le quali riusciva, come il mitico personaggio cui si era ispirato nel dare il nome al suo esercizio, a far rispecchiare l’immagine di dame imbellettate, di impettiti uomini in tuba, di bambini in eleganti abitini o di imbarazzati popolani. E quasi contemporaneamente, in un’altra piazza, in quella degli scambi agricoli e commerciali, “La Mesa”, Luigi Bianconi, non reggino e immigrato dal Centro Italia, a sua volta, avviava un altro laboratorio fotografico. Dopo qualche anno, comunque, entrambi spostavano la loro attività, Sergi al n. 126 di corso Garibaldi e Bianconi al n. 43 della via Marina, a conferma di un crescente successo nella produzione di ritratti da album o da appendere nei salotti, così come descritti da Carlo Emilio Gadda: “Nella parete di fronte tra le finestre, da una cornice di noce la guardata corrusca del generale Pastrufacio, in dagherrotipo”.

Il Mare a Vazzano Sharo Gambino - Scrittore

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[…] Quando, tre o quattro giorni dopo averla scattata, mio padre mi mise in mano la fotografia, io ci vidi benissimo mia madre tenersi in braccio mia sorella e vidi benissimo il balcone con le due graste, ma il muro rustico del palazzo no, perché non c’era, svanito, sparito per chissà quale sortilegio. Al suo posto, invece, un bel mare calmo che cullava un paio di vele un po’ sotto la linea d’orizzonte. Cosa di misterioso era avvenuto nell’istante in cui mio padre, premendo una peretta di gomma rossastra, aveva fatto scattare l’ottura tore della macchina fotografica e bruciare il magnesio provocando un lampo di luce accecante? A riflettere su quel che c’era sulla foto, sembrava che casa nostra, in quell’infinitesima frazione temporale, si fosse trasferita chessò, a Pizzo, dove il mare era stabilmente, o come se il mare fosse venuto a Vazzano per fare più bella l’immagine di mia madre nel dolce atteggiamento che aveva assunto. Un ritorno, più che altro tale, nella mia fervida fantasia, si figurava la misteriosa presenza sulla foto.

Biasuzzu, il fotografo dell’aspromonte Mimmo Gangemi - Scrittore

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Era Biasuzzo opoloer tutti. Per sessant’anni – dal 1925 fino agli anni ’80 – fu lui il fotografo nei paesini abbarbicati sui dorsi delle colline alle prime pendici dell’Aspromonte. Ha il merito d’aver saputo trattenere la memoria di più generazioni, tracciando lo scorrere del tempo, i lenti mutamenti, le esistenze degli umili appena sfiorati dalla storia, o che la subivano soltanto, imprigionando i rari sussulti di vite trascinate anonime e tra gli stenti, e i frustali di una quotidianità di cui altrimenti si sarebbe smarrito il ricordo. Impronte importanti. Che si sono conservate per la caparbietà della madre, lei a decidere che a quel suo giovane, venuto su fervido di mente, di bella presenza e dai tratti raffinati, s’addicesse un mestiere che gli preservasse gentili le mani e non piuttosto la zappa e la campagna cui allora non scampavano i figli del popolo.

Un album pieno di emozioni e sentimenti Francesco Paolo Dodaro - Storico

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Al pari della pittura e della scultura, anche la fotografia viene considerata una vera e propria forma d’arte, capace di suscitare profonde suggestioni. Osservare fotografie antiche è come fare capolino nelle atmosfere di un mondo passato e consente di percepire, attraverso uno sguardo o un sorriso, pensieri ed emozioni di chi ci ha preceduto. Ricordo molto bene il fascino che su di me esercitavano i voluminosi album fotografici di famiglia, che stavano nel salotto di mia zia paterna, su di un mobile, accanto al pianoforte a muro. Un giorno decisi di aprirli e di sfogliarli, e quella fu per me un’esperienza molto utile, perché mi permise di riappropriarmi di tanti tasselli di storia familiare. Fra le pagine ricche di foto (delle quali le più antiche erano dipinte a mano) mi imbattei per la prima volta nel ritratto di Mons.

Dal dagherrotipo alla gelatina di bromuro d’argento Ottavio Cavalcanti - Antropologo

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[…] Tra vapori di iodio, per impressionare un sottile strato d’argento applicato su lastra di rame, e vapori di mercurio, per fare emergere l’immagine magicamente catturata e irriproducibile, vien fatto di inquadrare la figura di Louis-Jacques-Mande Daguerre (1787-1851) in un antro alchemico, che non la sfuma, ma l’ingigantisce per l’esito felice di una ricerca destinata a smentire l’impossibilità di mutare metalli vili in oro. Seguì, in prospettiva storica, “l’età del Collodio”, la seconda epoca della fotografia iniziata a metà del sec. XIX e protrattasi fino al 1880, in cui una lastra di vetro ricoperta di Collodio, soluzione di nitrocellulosa in una miscela di alcool e etere, si immergeva in un’altra soluzione di nitrato d’argento.

L’immagine è cammino tra i luoghi del ricordare Pierfranco Bruni - Scrittore

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Il mondo contadino non è soltanto una dimensione di un mondo perduto che rivive l’immaginario e nell’immaginario. È anche un linguaggio, una etnia nel vissuto tra letteratura e riscoperta della dimensione della memoria in una Calabria le cui radici sono impastate tra la terra e il mare. Dall’indifferenza alla nostalgia. Tra i segni e le memorie il tracciato è un lungo ricordo in una antropologia che è letteratura di una geografia dell’essere e del tempo. Etnos-popolo. Tra etnie e luoghi. Ci sono processi culturali, attraversando le immagini nella fotografia o la fotografia fissa nell’immagine, che si prestano ad una chiave di lettura in cui il valore antropologico e la “misura” etno-linguistica offrono delle interpretazioni che hanno delle caratteristiche che penetrano il senso mitico simbolico delle civiltà. Il mito e il simbolo sono dominanti di un percorso certamente etnico che scava all’interno di quelle dimensioni che si prestano ad un riscontro letterario.

Quei Fotografi che hanno fatto la storia di Cosenza Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona - Storico

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Santoro, De Maria, Spina, De Luca, Gaudio, questi i nomi che hanno dato vita ai primi studi fotografici professionali dai quali sono passati, come una grande parata, i nostri predecessori. Insieme a loro, si sono poi affermati anche fotogra amatoriali, tra questi, Ferdinando Vercillo (segnalato nel 1856 come ritrattista) e Filippo Telesio, dalle cui fotografie emergono l’intenzione iconografica dei soggetti ritratti e quella tipicamente documentaristica: immagini che testimoniano l’ambiente, le prassi di vita quotidiana, le varie caratteristiche antropologiche delle comunità identificate nei costumi e nella lingua. Con talento e originalità ci hanno tramandato momenti espressivi e profili urbani documentando la storia culturale della città.