La Fotografia Trasmette i Tratti delle Esperienze Vitali Luigi Maria Lombardi Satriani - Docente Università Suor Orsola Benincasa Napoli

Editoriali

Sfogliando queste antiche fotografie, scattate da mio padre Alfonso, mi lascio inondare dalla sensazione della memoria di un passato che esse testimoniano, come nell’incanto delle madeleines di proustiana memoria. Mi domando perché trasmettono con forza la storia di momenti, eventi, persone, atmosfere, luoghi e i discorsi che le hanno incessantemente attraversate. Giuseppe Lupo, nel suo recente L’albero delle stanze, che ci accingiamo a celebrare con il Premio Filadelfia 2016, ci ha narrato come l’ultimo proprietario di un secolare mulino, il suo avo, capostipite della famiglia, aveva aggiunto stanze a stanze, appartamenti ad appartamenti, via via che si formavano nuove coppie, nascevano bambini e la famiglia si ampliava, ramificandosi in ulteriori formazioni e stanze. Il protagonista del libro di Lupo è vecchio, e passa le ore toccando i muri di questo loquace albero di stanze, mettendosi in ascolto di quanto esse raccontino in maniera sfuggente e sofferta.

Al termine ci si può accorgere che i personaggi superano di molto i limiti del realismo anagrafico e in qualche maniera rappresentano la vita stessa, se non Dio stesso che si narra nella sua creazione. I muri delle case hanno incorporato via via i desideri, le speranze dei loro proprietari, le loro preghiere, i loro discorsi, i tratti delle loro esperienze vitali. Anche a me capita camminando a volte nella mia troppo grande casa di San Costantino di rivivere tratti a tratti la storia della mia famiglia, di quanti la hanno abitata, vivificandola con il calore delle loro esistenze. Adesso, borgesianamente, sfidando evidenze realistiche e temporali, vorrei immaginare un colloquio con te, in uno scambio affettuoso e sincero.

Io: Caro papà, ho un po’ disagio a parlarti così, da pari a pari e penso che in fondo i figli non dovrebbero parlare dei padri, di cui dovrebbero seguire i consigli, gli ammonimenti, i precetti, anche se le cose sono andate in maniera tale che ho parlato di te, della tua opera, della tua personalità. Sono comunque contento di essere qui con te venendo dal futuro. Siamo assieme negli anni in cui hai fatto queste fotografie, e quindi non sai ancora che ti saresti sposato e saremmo arrivati Concettina e io, e che tu ci avresti colmato di amore allevandoci con tenera cura.

A.L.S.: È vero, ci sono ancora tanti anni da vivere e ci vorrà del tempo per giungere al momento della nascita di Concettina e tua, vostra madre è scomparsa così giovane, non aveva ancora ventotto anni, e noi tutti pensavamo che sarei stato io a scomparire per primo data la differenza di età; la nostra casa divenne troppo grande e troppo vuota. Noi – io con i miei fratelli – abbiamo fatto di tutto per allevarvi e in qualche maniera risarcirvi di un’infanzia troppo solitaria.

Io: Lo ricordo bene. Ho assistito, mentre mi credevi addormentato, a momenti di tuo privato dolore e non te ne ho mai parlato per pudore, nonostante con te fossi infantilmente prepotente, proprio perché con tenero affetto me le facevi passare tutte. Allora non sapevo che a distanza di oltre trent’anni dalla tua morte (1950) avrei fatto stampare le lastre da te impresse ai primi del Novecento e che le avrei organizzate in una grande mostra, con relativo catalogo, con la collaborazione di allievi e colleghi, e che essa sarebbe stata presentata in numerosi centri riscuotendo grande successo. Non potevi saperlo. Ma adesso vorrei domandarti: quando facevi queste fotografie, cosa pensavi? Cosa credevi avremmo pensato ammirando ciò su cui si era soffermato il tuo sguardo?

A.L.S.: Luigino, non sono sicuro di ricordare esattamente dopo tanto tempo cosa pensassi. Mi sembra che volessi trasmettere ciò che considero importante nella vita, il senso di appartenenza a una famiglia, a una terra, alle sue scansioni. C’era in me il timore che la famiglia, dopo un ulteriore tragica morte in giovane età dell’ultimo erede potesse concludersi senza discendenti, e che non potesse realizzarsi il desiderio che il nostro Nome – che noi ritenevamo essenziale – continuasse ad essere tramandato da discendenti, chiunque essi fossero, qualsiasi fossero le esperienze di vita nelle quali si sarebbe materializzata la loro esistenza. Quel timore, dunque, mi indusse a sposare, pure in età matura, la giovanissima vostra madre (Felicina Galati), che mi diede con un generoso trasporto il suo tempo e il suo amore.

Io: Papà, sei stato fortunato, siamo stati fortunati. Io, tuo figlio, ho questi stessi sentimenti per la famiglia, per questa casa, per questo paese, per questa terra. Vivo a Roma da decenni. Tutto il periodo estivo e quello delle feste di Natale e Pasqua li trascorro a San Costantino di Briatico, questo paese dove la nostra famiglia è radicata da secoli; e il resto dell’anno non riesco a trascorrere più di un mese lontano, e debbo fare una corsa, e tornarci, magari anche per pochi giorni. Mi chiamano spesso per partecipare a mostre, a presentazioni di libri, a progetti di valorizzazione delle potenzialità presenti nei nostri paesi e nei diversi territori: quando si tratta di iniziative che riguardano la Calabria accetto comunque un invito a collaborare, ad avviare gruppi di studio e di raccolta. Ho detto che siamo stati fortunati. Mio figlio Alfonso (1973) che porta il tuo nome, si è sposato con una ragazza di San Costantino, Francesca, e mostra di avere, certamente declinandoli secondo la propria personalità, sentimenti analoghi per la nostra casa e per la nostra terra. Lo guardo spesso, quasi di soppiatto, e mi stupisce quanto di me sia passato in lui, quanta mia personalità gli abbia trasmesso. L’ho scritto in una poesia che ho pubblicato di recente e che è piaciuta a molti. Non ho scritto, almeno non l’ho scritta ancora, una poesia per te, sull’amore che mi hai dato e su quello che ho per te e che non mi è riuscito dirti. Concettina (la tua Concettinella) e la sua famiglia sono attaccatissimi a San Costantino e lo dimostrano con le loro scelte di vita. Per fortuna la parola ha una sua magia, e io con i poteri magici ho avuto lunga frequentazione di lavoro. E mi è riuscito, quindi, di realizzare questo sotterfugio letterario che molti possono trovare uno scherzo ma che per me scherzo non è, ed anzi è cosa estremamente seria, che mi ha permesso di dire cose e sentimenti che porto con me da una vita.