Ascoltate, la Fotografia Racconta Coriolano Martirano - Giornalista e Scrittore

Editoriali

Appesa su una parete del salotto di casa, da oltre un secolo, c’è una foto di un mio lontano parente. Non so, ne ho mai chiesto chi sia stato a metterla lì e raccomandato di conservarla per i posteri. Conosco bene, però, la storia che quella foto racconta. È una storia inquietante, piena di intrighi, di sorprusi e di spargimento di sangue, ma anche ricca di valori e di doveri. Ascoltate. La seconda metà dell’Ottocento mentre si afferma con l’avvenuta unificazione d’Italia ratificata dall’unanime voto del Parlamento, segna l’inizio di quella che sarà una delle pagine più oscure della storia meridionale in generale e della Calabria in particolare. Il crollo del Regno delle Due Sicilie in termini conseguenziali segna la fine e quindi lo sbandamento di quello che con onore e con gloria è stato uno degli eserciti più numerosi e più efficienti del bacino mediterraneo. L’esercito formato non con l’obbligo della chiamata ma con le regole mercenarie è stata la meta e la ragione di una occupazione lavorativa. Scioltosi subisce lo sbandamento. E da qui l’affannosa ricerca di un posto di lavoro. Può sembrare strano ma è questo l’inizio di quel fenomeno triste che è il brigantaggio.

A pagarne le conseguenze maggiori in Calabria sono le zone più sperdute. E tra queste la Sila. Da qui quello che avviene in un piccolo centro: Longobucco. Le origini si perdono nella leggenda. Pare che dopo la distruzione di Temesa i superstiti si trasferiscono, quasi per nascondersi, nel bosco, quindi in Sila e precisamente a Longobucco. Comunque notizie precise emergono dal catasto onciario là dove afferma che Longobucco passò dalla dominazione angioina a quella aragonese quando nel 1445 Re Alfonso salì al trono. Da questo documento emerge la famiglia Vulcano, di origine greca. Feudataria di ben tre “difese” sul versante ionico dell’altopiano, dopo la legge eversiva la Famiglia acquistò “con denaro contante” quelle che erano state le difese mantenendone a favore della popolazione locale quei diritti previsti: pascolo degli animali, raccolta dei funghi e delle castagne, utilizzo del legname caduto. Da qui la riconoscenza popolare e conseguentemente una crescente e affettuosa stima. I rapporti con la Chiesa sono stati sempre ottimi anche per la presenza di alti dignitari nella Curia di Rossano. Il tempo è passato veloce fino a quando nel 1861 la prima riunione del Parlamento Italiano ratifica l’avvenuta unificazione ed estende a tutto il territorio nazionale gli ordinamenti amministrativi piemontesi. Quindi le elezioni comunali. A Longobucco per la carica di Sindaco pone la candidatura Giacinto Vulcano. È giovane, poco più che trentenne, figlio unico della Famiglia quindi bene in vista. Le votazioni sono eloquenti: dalle urne ne esce eletto alla unanimità. Amministra con onestà e con rigore l’applicazione delle leggi tra le quali quella di ratificare la buona condotta degli emigranti. A chiedere il passaporto per trasferirsi in terre lontane è un mal conosciuto personaggio che da approfondite indagini risulta affiliato ad una banda brigantesca. Da qui l’applicazione della legge. Il Sindaco non concede il certificato e l’affiliato si vendica con un colpo di fucile. Longobucco piange la morte del suo primo Sindaco. Per essere l’unico figlio maschio, la Famiglia secondo la tradizione del tempo cessa di esistere. Restano due sorelle: Rosina sposata a Cosenza con Mariano Campagna e Letizia sposata sempre a Cosenza con Giovanni Martirano. I funerali sono solenni. Quel giorno Longobucco tace e piange il giovane Sindaco che non c’è più. Nella bara Giacinto Vulcano come vuole la regola del tempo per essere figlio unico tiene stretto tra le mani la chiave del portone di casa come a dire che la porta è ormai chiusa e la Famiglia non esiste più. Ma non muore la stima e l’affetto che Longobucco continua ad avere per il suo primo Sindaco ucciso per avere fatto nient’altro quello che il suo dovere, come ammonimento per il futuro.