Il porto di Vibo Valentia

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Vibo Valentia, positivo da fotografia alla gelatina d’argento, 1930

Foto di: Francesco Nicotra

I fratelli Francesco e Gaetano Nicotra con studio in Messina alla via San Camillo 21 aprirono lo studio nell’antica Monteleone (l’attuale Vibo Valentia) nel 1890 per poi avviare con la città un rapporto indissolubile. Divennero in poco tempo il principale laboratorio fotografico scalzando quasi del tutto il piccol laboratorio di Giuseppe De Tullio. Avevano uno studio dotato delle più sofisticate attrezzature fotografiche e si devono a loro le più belle foto della città e dei costumi tipici prima del terremoto ma anche i bei ritratti delle famiglie borghesi e dei notabili del posto.

Il pescatore

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Vibo Valentia, negativo su pellicola, 1958
Foto di: Andrea Davolo

 

Nato a Portici il 18 novembre 1883, Andrea Davolo, giunse a Vibo Marina nell’immediato dopoguerra come Farista del Porto, stessa funzione svolta nei porti della Libia italiana di Tobruk e Bengasi.
Quel suo costante lavoro di mantenere in efficienza il faro, di accendere e spegnere la luce stessa del porto, segnale evidente del confine tra il mare e la terra, era spesso intervallato dalla passione per la fotografia. Terminato il lavoro di farista infatti, vista l’assenza di un fotografo nella cittadina portuale, riadattò una stanza della sua casetta a studio fotografico in cui eseguire foto ricordo e tessere fotografiche.
L’inaspettato ritrovamento di alcuni dei suoi negativi sotto i coppi del tetto della mia abitazione sono stati un segno rivelatore della sua esperienza e dello stesso luogo in cui lavorava, dimenticato dai più.
Eppure, grazie alla luce impressa sulle pellicole realizzate da Andrea Davolo oggi conserviamo la memoria fotografica dell’attività portuale negli anni compresi tra la metà degli anni ’40 ed i primi anni ’60. Un mondo tutto da scoprire, fatto di navi, velieri, lavoratori, pescatori e le prime famiglie insediatesi nella città.
Sono pellicole consunte, meritevoli di restauro per essere sempre in grado di trasmettere quelle emozioni, fatte di luce, di terra e di acqua, come lo sono i fari … segnacoli luminosi della memoria di una identità sospesa “al di qua del faro”.