Fotografi a Reggio tra Fine Ottocento e Inizi Novecento Enzo Laganà - Giornalista

Editoriali

Nell’anno dell’Unità d’Italia, Vincenzo Sergi apriva in piazza San Filippo (l’odierna piazza Carmine), sotto l’insegna “Foto Fata Morgana”, un laboratorio con una serie di apparecchiature e lastre argentate con le quali riusciva, come il mitico personaggio cui si era ispirato nel dare il nome al suo esercizio, a far rispecchiare l’immagine di dame imbellettate, di impettiti uomini in tuba, di bambini in eleganti abitini o di imbarazzati popolani. E quasi contemporaneamente, in un’altra piazza, in quella degli scambi agricoli e commerciali, “La Mesa”, Luigi Bianconi, non reggino e immigrato dal Centro Italia, a sua volta, avviava un altro laboratorio fotografico. Dopo qualche anno, comunque, entrambi spostavano la loro attività, Sergi al n. 126 di corso Garibaldi e Bianconi al n. 43 della via Marina, a conferma di un crescente successo nella produzione di ritratti da album o da appendere nei salotti, così come descritti da Carlo Emilio Gadda: “Nella parete di fronte tra le finestre, da una cornice di noce la guardata corrusca del generale Pastrufacio, in dagherrotipo”.

In quegli anni, comunque, il più famoso tra gli artisti-fotografi sarebbe stato Wilhelm Weintraub, tedesco, che da Trieste aveva esteso la sua attività e nel 1868 aveva fondato una rivista specializzata Il giornale di fotografia, iniziando anche la sperimentazione di nuove tecniche di stampa. Weintraub aveva aperto anche uno studio a Messina (strada Garibaldi n. 111, palazzo Pizzimenti) e quindi a Reggio al n. 5 di strada Marina, appoggiandosi a tal Damianos. La “Fotografia di Casa Reale” di Weintraub e Damianos operò per alcuni anni, fino a quando non venne rilevata dal cav. Gennaro Caparelli, “artista fotografo”, che aveva bottega anche a Catania nella via Ogninella. Nella stessa strada Marina al n. 25, impiantò uno stabilimento fotografico A. Bolelli: si eseguivano, come si leggeva nei cartoncini pubblicitari, “Specialità fotografiche in gruppi, vedute, bambini ed ingrandimenti al naturale”. Non misero radici né Caparelli né Bolelli (Bianconi nel frattempo era scomparso) sicchè Vincenzo Sergi rimase pressocchè incontrastato signore delle foto dei Reggini, affiancato dapprima dal figlio Vincenzo e poi dagli altri. Agli inizi degli anni Novanta esordiva “Attilio Zoccali” e poi, nel 1896, Eugenio Tieri. Le virgolette accanto al nome del primo sono d’obbligo, in quanto il vero fotografo era il padre di Attilio, Francesco, ingegnere delle Ferrovie, che quindi non poteva svolgere anche un altro mestiere. Il vero è che l’ing. Zoccali, da grande appassionato di fotografia, aveva accumulato apparecchiature nella sua abitazione di palazzo Morace, lungo i gradoni che congiungevano il Castello al Duomo e cercava di avviare a quella appassionante arte il figlio, che invece avrebbe poi intrapreso la carriera militare: lo studio continuò a portare così l’insegna del figlio anzichè quella del vero fotografo. Dal canto suo, Eugenio Tieri, ingegnere mancato per motivi di salute, divenne fotografo grazie al dono di un apparecchio da parte del fratello essendosi appassionato al punto di andare a New York per apprendere le varie tecniche di un mestiere che si stava ormai industrializzando grazie alla Kodak ed a George Eastenam (rientrato a Reggio, Tieri aprirà un negozio al n. 272 di corso Garibaldi). Con il terremoto a Reggio anche quell’attività artistica subì un tracollo: l’anziano Sergi riprese l’attività al n. 46 del rione San Marco; in un’altra baracca, al n. 10 del rione Friuli, finì anche Tieri prima di tornare sul corso Garibaldi dove fu affiancato dalla figlia Emma, e sul corso Vittorio Emanuele (palazzo Serranò) aprirono il loro studio fotografico Roberto e Ugo Zoccali, che continuarono l’attività familiare. In quegli anni, va detto, il più appassionato cultore dell’arte fotografica si sarebbe dimostrato non già un professionista ma un semplice dilettante che però ha lasciato un patrimonio prezioso di immagini non soltanto di Reggio e del mondo che frequentava: Francesco Saverio Nesci. Nato nel 1882 da nobile ed antica famiglia di origine siciliana, egli fu un vero artista dell’immagine se si considera che le macchine fotografiche rappresentarono per lui non lo strumento di un mestiere ma oggetti di un autentico amore, come attesta la sua imponente produzione, esclusivamente privata, composta da oltre 5.000 lastre che sono oggi una documentazione unica da custodire religiosamente. Ma scrivere solo poche righe su Francesco Saverio Nesci e sulle sue fotografie sarebbe quasi un’offesa.